giusy versace

La fatica nello sport è sofferenza ma fino a che punto ne vale la pena?

“Correre con il mal di gola”, “correre con l’influenza” “correre con il male al ginocchio”, “correre con la testa che gira”. Ah, se Google potesse parlare, quante ce ne racconterebbe sui runner che cercano scuse per a) non uscire ad allenarsi b) uscire ad allenarsi nonostante febbre a quaranta o infortuni che in una condizione normale non avrebbero problemi a sfruttare per farsi portare colazione, pranzo e cena a letto.

Mi sono chiesta spesso quale sia il confine tra “scusa” nel senso di “lagna” per non uscire a correre e invece “seria ragione per evitare di peggiorare le proprie condizioni”.

Chi conclude una maratona dopo essersi infortunato in gara è un eroe o un cretin..., ehm, una persona poco saggia? Sfidare l’influenza per andare in palestra è segno di grande motivazione e resilienza oppure una stupidaggine che può farci stare peggio? Fino a che punto il “dolore” è una scusa e quando invece diventa impedimento serio, e finisce per mettere a rischio la nostra salute?

Nei gruppi Facebook di runner se ne leggono di tutti i colori su questo tema. Perché è un sport che crea dipendenza - il runner’s high, lo “sballo del corridore” è un fatto scientificamente provato - ed è difficile trovare qualcuno in grado di smettere all’improvviso. Anche quando si infortuna seriamente. Tanto che la “frattura da stress” è una delle più comuni lesioni alle ossa dei podisti che hanno continuato a fare attività fisica nonostante gli “alert” del corpo che, prima di rompersi, si infiamma e ti chiede di rallentare. E da una frattura da stress si recupera solo stando fermi per dei mesi, MOLTI mesi. Lo scorso luglio avevo un dolore alla tibia che mi ha fatto avere incubi sul fatto che potesse essere proprio un allarme pre-frattura. Per un mese non ci ho corso su. Sapevo che stavo perdendo forma, ma lo spettro della totale immobilità mi ha trattenuta dal fare sciocchezze. Quello, e la saggezza del mio allenatore, che si arrabbia non poco quando scopre che qualcuno di noi ha corso sopra dei sospetti infortuni o anche solo con la febbre, mettendo a rischio l’intera stagione.

E allora perché gli ultra maratoneti, quelli cioè che si spingono oltre i 42km per fare i 50, 60 100km di corsa sono considerati con ammirazione? Di dolore ne provano non poco durante le competizioni.

Così gli atleti paralimpici, se ci pensate. Non avevo mai riflettuto sul fatto che correre con le “lame da corsa”, come si chiamano le protesi per chi corre con arti artificiali, potesse essere doloroso. Poi un giorno ho guardato tutti i video di Giusy Versace che ho trovato in rete. Avevo un’ottima scusa per perdere tempo così: dovevo lavorare a un progetto di raccolta fondi per un’associazione che si occupa di sport e disabilità e volevo capire cosa si prova a correre con gli arti amputati. Mi ha colpito la sua intervista alle Invasioni Barbariche, di qualche anno fa, dove racconta la sua evoluzione dopo l’incidente, la difficoltà con le prime protesi, la sofferenza dei muscoli che devono imparare nuovi movimenti. Ad un certo punto Daria Bignardi le chiede: “E ora invece corri, fai le Olimpiadi, non fa più male?”

“Certo che fa male”, risponde Giusy. “Solo che ti abitui”.

Sono rimasta a bocca aperta. Perché, come sempre, quello che vedi non è mai solo quello che c’è. Ti immagini la fatica, ma non il dolore.

Forse il confine tra stupidità ed eroismo è questo: quando la sofferenza è parte della tua condizione, quando sai che qualcosa non può cambiare perché è diventato parte di te (penso ai tanti runner con la t-shirt “corro perché ho il cancro” incontrati a New York), e correre migliora la tua vita, non la peggiora, allora è il caso di uscire e allenarsi.

Se invece “l’unica cosa che ti fa stare bene è la corsa”, anche quando distrugge il tuo corpo, è il momento di fermarsi. E farsi qualche domanda sulla propria condizione mentale, oltre che fisica.

Quel giorno, dopo aver visto l’intervista a Giusy Versace, mi sono ricordata di tutte le volte che ho googlato “allenarsi con un leggero mal di testa”. E ho messo le scarpe da corsa.


SHOOT THE RUNNER

di Donata Columbro

Giornalista e consulente digitale con una missione: aiutare le storie a incontrare i lettori. Scrive di Africa e attivismo digitale su  InternazionaleWired ItaliaVita.it. Corre per godersi Roma quando non c'è nessuno per strada e lo racconta spesso su Snapchat (@dontyna).